SERVIZIO PER GLI INTERVENTI CARITATIVI PER LO SVILUPPO DEI POPOLI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

In Kurdistan per aiutare i rifugiati di Erbil

Una serie di interventi in Kurdistan a favore della popolazione sfollata più vulnerabile: bambini, anziani, disabili, donne, malati cronici. Un progetto della Focsiv che in Kurdistan ha avviato da tempo iniziative di aiuto in varie città.
21 Marzo 2017

Il tempo per i rifugiati a Erbil è sospeso. Tra il desiderio di tornare a casa e la paura di farlo. Tra la fatica di ripensare a una vita futura guardando avanti e la prospettiva di rifare i pochi bagagli e tornare indietro. A raccontare lo stato d’animo delle famiglie che vivono nei campi profughi di Erbil è Terry Dutto, operatore della Focsiv che nella città irachena vive dal 2014, giunto lì tre anni fa, per coordinare progetti e iniziative di aiuto alla popolazione. “Da lì poi ci si muove nei dintorni, a Qaraqosh, Mosul, Kirkuk dove c’è una postazione non ancora lasciata dall’Isis”.

La presenza della Focsiv in Kurdistan è sostenuta ora grazie anche ai fondi 8xmille: nell’ultima riunione del Comitato per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo è stato approvato un progetto per un totale di 793.493 euro per sostenere una serie di interventi in Kurdistan a favore della popolazione sfollata più vulnerabile: bambini, anziani, disabili, donne, malati cronici.

Il progetto, gestito dalla Focsiv, attiverà servizi presso il Governatorato di Erbil, la Provincia di Kirkuk e nella città di Al Kosh. L'iniziativa mira a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni sfollate e si pone in continuità con il progetto numero 162/2015 già approvato a suo tempo dalla CEI  di cui vuole consolidare i positivi risultati raggiunti.

A Erbil nei campi attrezzati di Ainkawa 2 e Ashti 1; nella provincia di Kirkuk  verranno distribuiti a circa 300 famiglie un pacco mensile di cibo e latte in polvere per i neonati, così come ad Al Kosh, cittadina isolata e in gravissima difficoltà.

Sono oltre 40mila gli sfollati nel Distretto di Ainkawa (provincia di Erbil), in gran parte della Chiesa caldea della Piana di Ninive, oltre ad altri 10mila yazidi provenienti dalle montagne nella zona di Sinjar. Nel campo attrezzato, conosciuto con il nome Ainkawa 2, sono presenti più di 1.000 container forniti di acqua potabile e di fognatura.

E sono ospitate circa 1.200 famiglie, pari a circa 6.000 persone, con oltre il 50% di giovani. “I container – racconta Terry – sono diventati ormai delle casette: le persone che ci abitano, tentano un radicamento ma è una condizione di vita che può essere solo temporanea. Il fatto però di stabilirsi, fa sentire a casa”. La maggior parte delle persone vengono da Qaraqosh, la città cristiana più importante dell’Iraq che contava più di 60mila abitanti. Ora è una città fantasma. È stata occupata per due anni dalle bandiere nere dell’Isis. Nominata capoluogo dello Stato islamico per la Piana di Ninive, è stata liberata a fine ottobre.
“Siamo andati a Qaraqosh – dice Terry – ma non è rimasto molto. Ci sono tentativi di ritorno. Non tutti hanno la possibilità di migrare all’estero ospiti di parenti. L’unica prospettiva è allora quella di tornare a casa, ma il rientro è difficile, attualmente impossibile. “La gente non si sente sicura. La speranza c’è ma finché non è garantita la sicurezza, le persone non si muovono. E poi ci sono i giovani che sono arrivati qui quando avevano 7/8 anni. Loro dicono addirittura di voler rimanere a Erbil perché si sentono ormai parte di questa città”.
Gli uomini sono quelli che risentono di più il colpo duro del cambiamento: senza più lavoro, soldi, casa hanno perso la loro funzione di capo famiglia. Chi resta punto di riferimento per la famiglia sono le donne. “Se vogliamo organizzare qualcosa nel campo – racconta Terry – chiamiamo loro”.
All’interno del campo, Focsiv ha realizzato “Hope Center – Centro Speranza”, uno spazio attrezzato dove i volontari offrono una serie di attività: asili, centro di arti marziali; una grande aula completamente attrezzata per interventi formativi di diverso genere; un campo di calcio e pallavolo che coinvolge 250 giovani.
I discorsi e i racconti che si ascoltano nei campi fanno venire “i brividi alla schiena”, confessa Terry. Non è facile seguirli. “Ricordo un gruppo di bambine di 8 e 10 anni che hanno cominciato a chiacchierare con una nostra assistente. Le raccontavano quanto erano cattivi quelli dell’Isis. Avevano visto tagliare la testa ad una persona solo perché stava fumando. Colpire di botte un uomo fino a rompergli le gambe perché aveva preso le difese di una donna. Questi bambini hanno subito un trauma. Lo vedi, lo senti. Hanno vissuto esperienze brutali e tu non sai che effetto avranno su di loro".

Sai solo che quando vai e li fai giocare, disegnare, parlare, vedere un film, doni momenti di serenità che cambiano loro la vita almeno per quell’istante, ridiventano bambini almeno per un breve spazio di tempo, ritorna il sorriso, scoprono l’amicizia”. Una goccia in un mare di dolore. “È vero, è solo una goccia. Ma noi non possiamo sapere che effetto può avere una goccia. Sappiamo che se non ci fosse questa goccia, sarebbe un mondo più buio, un mondo in cui i bambini sono lasciati soli e imparano solo ad essere violenti e aggressivi”.

di M. Chiara Biagioni